La ferita al costato (post-mortem)


Costato: ferita da punta di lancia
COSTATO DESTRO
ferita da taglio compatibile con:

  • colpo di lancia
    Sulla destra anatomica, in corrispondenza del quinto spazio intercostale, si notano una ferita da taglio e un’ampia macchia di sangue: le fotografie con luce ultravioletta rivelano un alone chiaro di siero invisibile a occhio nudo.
    Che questo sangue sia già separato in parte corpuscolata e siero è una prova sicura del fatto che l’Uomo della Sindone fu avvolto in essa già morto.

    «Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34)
Costato: sangue post mortem
Il sangue fuoriuscito dal costato è certamente uscito dopo la morte dell’Uomo della Sindone: esso risulta infatti separato in parte corpuscolata (che Giovanni chiama «sangue»), più pesante e che esce quindi per prima, e parte sierosa (plasma, che Giovanni chiama «acqua»), che esce subito dopo.
Dopo la morte, infatti, il sangue che si accumula si separa come per una sorta di ematocrito naturale (nelle analisi di laboratorio di oggi, il sangue viene separato molto rapidamente mediante l’azione di una centrifuga).
Foto e schemo del costato sindonico
Spiegazione della fuoriuscita di sangue ed acqua
Il colpo di lancia, dal basso verso l’alto, era una tecnica precisa che i soldati romani utilizzavano spesso come colpo di grazia per finire il nemico in battaglia: il braccio destro era quello armato e non protetto dallo scudo, sicché era più facile mirare direttamente al cuore.
Nel caso dell’Uomo della Sindone il colpo di lancia è stato utilizzato per verificare la morte del condannato (se fosse stato ancora vivo, il colpo lo avrebbe comunque ucciso); comunemente, invece, per abbreviare l’agonia dei crocifissi si praticava il crurifragium (un colpo netto sugli stinchi per spezzare le ossa e dunque impedire al condannato di sollevarsi per respirare, facendo forza sui piedi inchiodati).
Galata morente (Epigono) e lancia romana
«I Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,31-34)
«Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso» (Gv 19,36)

 

Le cause della morte dell’uomo della sindone

Medici e anatomopatologi hanno, nel corso del tempo, proposto diverse ipotesi circa le cause precise che portarono alla rapida morte dell’Uomo della Sindone: probabilmente ci furono più cause concomitanti, un arresto cardiaco (associato ad infarto ed eventuale emopericardio) che sopraggiunse al termine di una sequenza di sofferenze che avevano già devastato il fisico (abbondante perdita di sangue per le torture che precedettero la crocifissione, insufficienza respiratoria dovuta alla crocifissione stessa, grave disidratazione).
L’uscita a getto di sangue post-mortem dalla ferita al costato ha indotto alcuni scienziati a proporre come causa di morte l’emopericardio: il sangue, a seguito dei fortissimi traumi, si sarebbe accumulato nella membrana del pericardio intorno al cuore; la rottura del cuore (conseguente a infarto del miocardio) provoca un dolore retrosternale acutissimo compatibile con l’improvviso grido emesso da Gesù prima di morire; subito dopo si sarebbe formato l’emopericardio e il sangue dissierato sarebbe uscito dalla ferita inferta al costato.
«E Gesù, emesso un alto grido, spirò»
(Mt 27,50; Mc 15,37)
Gesù morì dopo tre ore di agonia sulla croce: è noto dalla letteratura antica che un crocifisso poteva arrivare ad agonizzare anche per giorni.