La crocifissione romana


Il supplizio della crocifissione è molto antico e le sue tracce si perdono, letteralmente, nelle nebbie della storia: fu utilizzato da Assiri, Fenici, Cartaginesi, Persiani, Greci e Romani. In alcuni casi si trattava propriamente di crocifissione, mentre in altri si tratta di innumerevoli varianti di impalamento.
La letteratura antica cita molti casi di crocifissione: essa, nel mondo romano, era nota come il servile supplicium, la morte infamante riservata agli schiavi, tanto che carnifex servorum era la qualifica della persona preposta all’esecuzione (che segue alla flagellazione alla colonna).
Celeberrimo è il caso di Spartaco, crocifisso lungo la via Appia insieme ai 6000 schiavi, fatti prigionieri dai Romani, che lo avevano seguito nella ribellione.
La croce presso i Romani resta tristemente in auge fino a Costantino, nel IV sec.: poi, in onore di Cristo, viene abolita.

In Palestina, provincia romana, la crocifissione fu largamente impiegata contro gli Ebrei per reprimere le rivolte: durante l’assedio di Tito, conclusosi con la distruzione di Gerusalemme nel 70, ogni giorno le truppe romane, per mesi, crocifissero fino a 500 ebrei al giorno. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio denuncia proprio la brutalità della repressione, ai danni anche di donne e bambini, sottolineando che la pena della crocifissione viene comminata anche ai moderati, indiscriminatamente, e a persone di rango sociale elevato (cioè non solo a schiavi e delinquenti).
Giuseppe FlavioAssedio di Gerusalemme
Crocifissione romana
Le croci potevano essere alte o basse, i piedi del condannato potevano essere a pochi centimetri dal suolo (cruces humiles) e quindi esposti alle bestie, o alte per essere bene in vista anche da lontano (cruces sublimes)

Crux commissa a forma di T: il patibulum presentava un incavo che ne consentiva l’incastro alla sommità dello stipes.
Crux immissa (capitata): lo stipes presentava un incavo che consentiva l’incastro del patibulum più in basso, dando luogo alla croce a quattro bracci..
Le tracce ematiche presenti sulla Sindone consentono di affermare che i chiodi furono conficcati nella zona del polso e non nel palmo, come siamo invece da sempre abituati a vedere nell’iconografia tradizionale.
Gli artisti europei non avevano infatti idea di come avvenisse una crocifissione: nel Vangelo, del resto, questo dettaglio non è specificato (sia il greco keir che il latino manus sono utilizzati indifferentemente per indicare mano e polso).
La posizione suggerita dalla Sindone è più plausibile e corretta: con i chiodi nei palmi, le mani del condannato si sarebbero lacerate facendo cadere il corpo.
Ricostruzione del posizionamento del chiodonel polso
Calcagno del I secolo con infisso un chiodo
Nel 1968, nei pressi di Gerusalemme, è stata rinvenuta la tomba di un giovane crocifisso probabilmente per motivi politici qualche decennio dopo Cristo: nel calcagno è ancora infisso uno dei chiodi (lungo 12 cm).

L’APPENSIONE ALL’ALBERO EBRAICA (DOPO LA MORTE)

Gli Ebrei del tempo di Gesù conoscevano tristemente la crocifissione romana, che subirono in un gran numero di occasioni. Mai, tuttavia, la praticarono: la crocifissione non è una pena giudaica.
Gli Ebrei non credono che Gesù sia stato crocifisso ma propendono per sospensione del cadavere a seguito di lapidazione.
Ci sono 4 modalità di esecuzione capitale previste dalla legge ebraica rabbinica, cioè post-biblica (lapidazione per le 18 violazioni della legge di Dio, poi successivamente integrate dai rabbini, rogo che vale solo per casi molto particolari, passare a fil di spada, che talora è decapitare, strangolamento che solo in casi straordinari si traduce in impiccagione).

L’appensione all’albero di Dt 21:22-23 è cosa completamente diversa dalla crocifissione, perché è la sospensione all’albero di un condannato già ucciso, il cui cadavere non deve restare esposto nella notte ma essere seppellito prima del tramonto. In virtù di questa norma, i condannati ebrei crocifissi dai Romani venivano comunque calati dalla croce prima del tramonto.
Proprio in quest’ottica va inteso il concetto di «Gesù appeso al legno» (At 5:30 e 10:39; 1Pt 2:24): la cultura giudaica vede la croce come una riedizione dell’appendere al legno. Fermo restando che i Giudei non crocifiggevano, i testi degli Atti e delle lettere di Paolo e Pietro, proprio poiché scritti da ebrei, descrivono la crocifissione in termini «giudaici» di appensione al legno, avendo comunque ben presente la differenza.