La flagellazione consisteva in un numero indefinito di colpi, distribuiti su tutto il corpo, con la cura di evitare di colpire esageratamente la zona del petto (onde evitare che il condannato morisse sotto i colpi).
Questa tortura poteva esaurire l’esecuzione della pena oppure precedere l’esecuzione capitale, tipicamente la crocifissione (ma anche il precipizio o lo strangolamento, la decapitazione o il rogo etc.).
La flagellazione romana avveniva di norma alla colonna, al punto che in ogni domus romana ce n’era una adibita alla battitura degli schiavi, come riferiscono Cicerone e altri: in tali casi ”quotidiani” la flagellazione veniva effettuata con fruste di vario tipo, mentre la flagellazione condotta sull’Uomo della Sindone, particolarmente violenta e prolungata, ha i caratteri di una punizione esemplare.
L’Uomo della Sindone fu flagellato piegato, con le braccia in avanti.
La direzionalità dei colpi permette di concludere che ci furono almeno due torturatori, collocati ai lati.
Flagrum taxillatum è un termine elaborato a fine XVI secolo dallo studioso Justus Lipsius (nel trattato De Cruce) per tradurre in latino i termini greci utilizzati nella letteratura antica per designare alcuni tipi di flagelli a estremità multiple dotate di oggetti contundenti.
I segni più evidenti sembrano corrispondere a un flagrum dotato di tre strisce, all’estremità di ciascuna delle quali era fissato un elemento composto da sferette di piombo (resta valida, salvo minime varianti, la ricostruzione di Paul Vignon).
In ogni caso, deve essere sottolineato che l’Uomo della Sindone subì certamente una flagellazione romana, da non confondersi con quella ebraica, che presenta caratteri completamente diversi.
LA FLAGELLAZIONE EBRAICA (39/40 COLPI)
Tra gli Ebrei è sempre stata in uso la fustigazione mediante strisce di cuoio bovino. Si tratta della sentenza di malqut: questa punizione comportava un numero variabile di makkot (che significa appunto «frustate» e a cui è dedicato uno specifico trattato del Talmud) ed è l’unica punizione corporale nominata nella Torah (cfr. Dt 25:2-3, ove si fissa il numero dei colpi a un massimo di 40), visto che poi si passa alla lapidazione, che è una condanna a morte. La sentenza di malqut prevede la fustigazione con 40 colpi, da infliggere al più presto dopo la condanna; una volta inflitta la pena, è possibile il pieno reintegro del reo nella società, poiché ha pagato il suo debito.
Si alternavano due colpi sul dorso e uno sul petto; secondo l’interpretazione della maggior parte dei rabbini si devono infliggere 40 colpi meno uno, secondo altri andrebbero invece inflitti effettivamente 40 colpi, di cui l’ultimo tra le spalle.
Nel Talmud si specifica che i colpi sono 39 perché devono essere divisibili per tre: durante la fustigazione ebraica è prevista la ripetizione del verso 38 del Salmo 78 in concomitanza con ogni colpo («Ed egli, pietoso, perdonava la colpa, li perdonava invece di distruggerli. Molte volte placò la sua ira e trattenne il suo furore», composto in ebraico da 13 parole, ma ci sono un paio di versetti alternativi tratti dal Deuteronomio, sempre di 13 parole ebraiche ciascuno): tre volte viene recitato il versetto e ad ogni parola viene inflitto un colpo, fino ad arrivare ai 39 colpi di flagello prescritti.